L’autostima è quel sentimento per cui una persona, rivolgendosi a se stessa, pensa in generale positivamente o negativamente; include anche la parola “sicurezza”, la sicurezza nelle proprie capacità mentali e/o fisiche, nell’essere ben accettato o addirittura ammirato dagli altri. (S. Crosera, 2000).
Come si caratterizza l’autostima ?
L’autostima si può distinguere in alta e bassa autostima, in autostima realistica o irrealistica, autentica e inautentica, stabile e instabile, globale e specifica. ( M. Miceli, 1998) L’alta e bassa autostima sono in rapporto con le nostre valutazioni e le nostre aspirazioni. Per sapere se una persona ha un’alta o una bassa autostima bisogna sapere “cosa pensa di sé” e “come vorrebbe essere”. Occorre osservare che discrepanza c’è tra le sue autovalutazioni di fatto e quelle desiderate. Se la discrepanza è grande, l’autostima sarà bassa; se la discrepanza è piccola, l’autostima sarà alta, perché la persona pensa di corrispondere ai suoi desideri, alle sue aspettative e ambizioni. La persona che ha un’autostima alta prima di intraprendere ogni attività, risolvere un problema, affrontare una prova, appare in genere sicura di sé, convinta di avere buone probabilità di successo. E’ questa fiducia in se stessa che le dà la spinta, l’incoraggiamento: è una scommessa proprio su se stessa. Senza questa scommessa avrebbe un atteggiamento fin troppo cauto e conservatore, che non le farebbe osare strade nuove. Ha spesso alle spalle una storia di precedenti successi, che alimentano le sue rosee aspettative. Se in passato è incappata in qualche delusione rispetto a compiti simili, tende a pensare che “stavolta andrà bene”. Le situazioni e le prove difficili le risultano stimolanti, sono una sfida da raccogliere, per dimostrare a se stessa e agli altri che è in bamba, in una parola vuole eccellere. La persona che ha una bassa autostima, invece, prima di ogni prova si sente ansiosa e preoccupata, vorrebbe darsela a gambe ed essere lasciata in pace. Ha molti dubbi sull’esito dei suoi sforzi e l’esperienza passata non le suggerisce prognostici favorevoli; si raffigura anche il momento in cui dovrà fare i conti con l’ennesimo fallimento. Entra in panico anche quando c’è un iniziale risultato positivo, tende ad evitare e così facendo si sottrae anche alle possibilità di successo. Non vede le prove come stimolanti sfide, ma come minacce per la sua autostima, occasioni in cui rischia di dimostrare di non essere abbastanza capace, interessante, intelligente. Pensa che basta cavarsela, l’atteggiamento è quello sulla difensiva, non quello all’attacco. Mentre di fronte al successo la persona che ha un’alta autostima è soddisfatta, perché vede confermate le sue aspettative; quella che ha una bassa autostima non è contenta, il successo la coglie di sorpresa , la rende confusa e timorosa.Tuttavia l’autostima non è sempre stabile, costante nel tempo, può subire anche delle variazioni, delle oscillazioni periodiche o quotidiane, che dipendono da fattori contemporanei o storici. Un’autostima instabile da “fattori contemporanei” varia di volta in volta in base alle situazioni, agli specifici successi o fallimenti e alle specifiche autovalutazioni che la persona si dà. Ogni successo o apprezzamento positivo, e viceversa ogni fallimento o apprezzamento negativo, vengono automaticamente interpretati come segni del proprio valore, conseguentemente l’autostima si innalza o si abbassa, seguendo le oscillazioni del momento. Gli inevitabili alti e bassi della vita di tutti i giorni sono automaticamente ritradotti in alti e bassi della loro autostima. I “fattori storici” che influenzano l’autostima, invece, comprendono il comportamento valutativo di genitori, insegnanti e altre figure significative. Questi possono avere importanti ripercussioni sull’autostima del bambino e influenzare anche molte sue caratteristiche in età adulta. Un’autostima instabile da “fattori storici” sembra dipendere dall’arbitrarietà e mutevolezza delle valutazioni altrui, a cui siamo esposti nell’infanzia. Se l’adulto esprime giudizi arbitrari, inattendibili, contraddittori, motivati dall’umore del momento, il bambino arriverà a convincersi di non avere controllo sulle valutazioni che riceve, cioè di non essere in grado di favorire certe valutazioni o di impedirne altre.
Concludendo l’autostima si caratterizza anche in base ad altre dimensioni che sono la sua globalità o specificità, autenticità o inautenticità e il suo essere realistica o irrealistica. L’autostima globale è indicatore ricorrente e attendibile del benessere psicologico dell’individuo; l’autostima specifica permette di prevedere il comportamento in attività intellettuali, sociali, affettive, ecc., ovvero il successo o il fallimento. L’autostima realistica è aderente ai fatti, mentre l’autostima irrealistica è lontana dalla realtà (può talvolta darci intraprendenza e tenacia, qualità molto utili per progredire, apprendendo nuove strategie e acquisendo nuove competenze). L’autostima autentica è quella composta da autovalutazioni che la persona crede corrispondenti a verità, per cui un’alta autostima inautentica maschera una bassa autostima. Un’autostima alta, sufficientemente realistica, autentica, stabile e globale è segno di benessere psicologico ben più di un’autostima bassa, irrealistica, in autentica, ecc. ( M. Miceli, 1998)
L’autostima si può migliorare?
L’autostima si può migliorare essendo connessa con l’autovalutazione, con il conoscersi o piacersi. Per migliorare l’autostima occorre modificare il sistema di credenze, di convinzioni, di aspettative su se stessi, le prospettive o punti di vista dell’autovalutazione e del giudizio di sé. Solo così si può cambiare il senso del proprio valore. Le terapie cognitive e i training di terapia cognitiva specifici per migliorare l’autostima sono risultati piuttosto efficaci, perché aiutano ad assumere un atteggiamento critico rispetto alle proprie convinzioni, cercando di metterle in discussione.
giovedì 15 dicembre 2011
Le precondizioni per la Terapia di coppia.
I problemi di coppia iniziano quando dall’innamoramento (se c’è stato) si passa alla “fase di transizione”. In questa fase l’eccitamento di conoscere a fondo la nuova persona e la passione dei rapporti sessuali diminuiscono o svaniscono (dopo alcuni mesi o alcuni anni), mentre i sentimenti divengono basati su una valutazione più realistica del partner. Si iniziano a percepire i difetti dell’altro, i due partner non si sentono più corrisposti nel soddisfacimento dei loro desideri e bisogni, iniziano ad affiorare le differenze. Tutto questo coglie emotivamente impreparata la coppia, che inizia ad interrogarsi sull’opportunità di continuare una relazione sempre più deludente.
I conflitti iniziano ad emergere perchè ciascuno cerca di forzare l’altro a corrispondere maggiormente ai propri desideri e ne mette alla prova l’amore. Sono motivi di conflitto il disaccordo sui valori personali, le dinamiche di potere, i problemi organizzativi e di comunicazione (Lo Iacono, 1999). I valori più sentiti sono le manifestazioni di amore e di stima, il sesso, i figli, il denaro, i beni materiali, i rapporti con le persone esterne alla coppia, la suddivisione degli oneri legati alla conduzione familiare.
Queste crisi, quando hanno un esito sfavorevole, possono portare al disamore e alla rottura del rapporto, oppure alla continuazione in condizioni di continuo conflitto e malessere psicologico. Molte coppie si separano perché entrambi i partner si sentono molto delusi l’uno dell’altra, perché i litigi e la critica reciproca sono aumentati, perché scoprono difetti e caratteristiche del proprio partner di cui non si erano accorti prima e che non sembrano possibili da tollerare. La disillusione è molto forte e il rapporto talmente stressante che l’unica soluzione diventa la separazione. Un frequente fattore di insoddisfazione nelle coppia sembra essere lo stress individuale, che riduce le risorse necessarie a contribuire ai compiti familiari, a fornire al partner quel sostegno pratico e psicologico che si aspetta. Quando una persona è sotto stress è meno disponibile ad ascoltare e negoziare, ha più necessità di aiuto e meno disponibilità ad offrirne, fatica a contrattare il soddisfacimento delle proprie esigenze e la rinuncia al soddisfacimento dei propri desideri e bisogni (o la sua posticipazione) diventa un’ulteriore fonte di stress. Inoltre allo stress si accompagna un maggiore livello di emotività, che in termini cognitivi può essere descritto come attivazione di idee irrazionali, distorsioni cognitive, modelli disfunzionali di elaborazione delle informazioni, con il rischio di un aumento di tensioni, conflitti e insoddisfazioni nella coppia e nella famiglia. (Lo Iacono, 2004)
Quando le coppie raggiungono il loro “punto di non ritorno”, quando i loro sentimenti si sono spenti definitivamente o non ci sono mai stati, quando entrambi o uno dei due non è motivato ad un tentativo di ricostruzione della loro relazione, non esiste terapia di coppia in grado di far rinascere passione e sentimenti di amore. Infatti devono esistere due importanti precondizioni per la terapia di coppia, che sono: – l’esistenza nella storia passata della coppia di un periodo di soddisfazione reciproca; – la volontà di entrambi di far durare la relazione (Soresi e Sanavio, 1978).
Se esistono queste due precondizioni la terapia è possibile (altrimenti si aiuta la coppia a separarsi) e con l’approccio cognitivo-comportamentale di coppia _ che è molto direttivo, soprattutto nelle fasi iniziali della terapia, una peculiarità molto utile perché si placano, si evitano i litigi nelle coppie _ si vanno a modificare le idee irrazionali, i modelli disfunzionali di elaborazione delle informazioni (bias interpretativi), il grado di priorità dei valori e degli scopi personali, le convinzioni individuali (nonché le aspettative e desideri che ne derivano) e gli errori di pensiero ( le distorsioni cognitive di Beck come l’esagerazione, la generalizzazione, le spiegazioni prevenute, le etichette negative,, ecc.) dei partner. Si modificano le emozioni o stati d’animo negativi (delusione, rabbia/ostilità, disprezzo, disgusto, ecc.), al fine di raggiungere un maggior grado di soddisfazione nei confronti del partner, attraverso: – una diversa percezione del partner, _ un cambiamento del comportamento personale nei confronti del partner,_ un cambiamento del comportamento da parte del partner o, più spesso, _ un misto di tutte e tre le cose. ( Lo Iacono, 2004)
Gli obiettivi della terapia cognitivo-comportamenale di coppia possono essere sintetizzati in alcuni punti: _ aiutare i singoli partner ad accettare l’altro e le caratteristiche uniche della loro relazione (ciò comporta un lavoro di apprendimento e sviluppo a livello individuale), _ aumentare la consapevolezza delle dinamiche di interazioni ricorrenti nella coppia e dei loro effetti per la soddisfazione reciproca, _ aumentare la disposizione e la capacità a valorizzarsi, sostenersi e gratificarsi vicendevolmente, _ migliorare le capacità comunicative e la gestione dei conflitti.
L’approccio cognitivo-comportamentale si fonda sul presupposto che alla base dei matrimoni riusciti ci sia una reciprocità di gratificazione (rinforzo), ciascun partner dovrebbe rinforzare i comportamenti rinforzanti del partner, seguendo il principio del “dare per avere” (EmmelKamp, 1986), per un’unione felice sono essenziali certe doti di impegno, sensibilità, generosità, considerazione, sollecitudine, lealtà, senso di responsabilità, fidatezza , poi bisogna imparare, scendere a compromessi, agire in base a decisioni prese in comune, avere una certa duttilità, una buona predisposizione ad accettarsi e a perdonarsi, a tollerare difetti, errori e bizzarrie (Beck, 1990).
I conflitti iniziano ad emergere perchè ciascuno cerca di forzare l’altro a corrispondere maggiormente ai propri desideri e ne mette alla prova l’amore. Sono motivi di conflitto il disaccordo sui valori personali, le dinamiche di potere, i problemi organizzativi e di comunicazione (Lo Iacono, 1999). I valori più sentiti sono le manifestazioni di amore e di stima, il sesso, i figli, il denaro, i beni materiali, i rapporti con le persone esterne alla coppia, la suddivisione degli oneri legati alla conduzione familiare.
Queste crisi, quando hanno un esito sfavorevole, possono portare al disamore e alla rottura del rapporto, oppure alla continuazione in condizioni di continuo conflitto e malessere psicologico. Molte coppie si separano perché entrambi i partner si sentono molto delusi l’uno dell’altra, perché i litigi e la critica reciproca sono aumentati, perché scoprono difetti e caratteristiche del proprio partner di cui non si erano accorti prima e che non sembrano possibili da tollerare. La disillusione è molto forte e il rapporto talmente stressante che l’unica soluzione diventa la separazione. Un frequente fattore di insoddisfazione nelle coppia sembra essere lo stress individuale, che riduce le risorse necessarie a contribuire ai compiti familiari, a fornire al partner quel sostegno pratico e psicologico che si aspetta. Quando una persona è sotto stress è meno disponibile ad ascoltare e negoziare, ha più necessità di aiuto e meno disponibilità ad offrirne, fatica a contrattare il soddisfacimento delle proprie esigenze e la rinuncia al soddisfacimento dei propri desideri e bisogni (o la sua posticipazione) diventa un’ulteriore fonte di stress. Inoltre allo stress si accompagna un maggiore livello di emotività, che in termini cognitivi può essere descritto come attivazione di idee irrazionali, distorsioni cognitive, modelli disfunzionali di elaborazione delle informazioni, con il rischio di un aumento di tensioni, conflitti e insoddisfazioni nella coppia e nella famiglia. (Lo Iacono, 2004)
Quando le coppie raggiungono il loro “punto di non ritorno”, quando i loro sentimenti si sono spenti definitivamente o non ci sono mai stati, quando entrambi o uno dei due non è motivato ad un tentativo di ricostruzione della loro relazione, non esiste terapia di coppia in grado di far rinascere passione e sentimenti di amore. Infatti devono esistere due importanti precondizioni per la terapia di coppia, che sono: – l’esistenza nella storia passata della coppia di un periodo di soddisfazione reciproca; – la volontà di entrambi di far durare la relazione (Soresi e Sanavio, 1978).
Se esistono queste due precondizioni la terapia è possibile (altrimenti si aiuta la coppia a separarsi) e con l’approccio cognitivo-comportamentale di coppia _ che è molto direttivo, soprattutto nelle fasi iniziali della terapia, una peculiarità molto utile perché si placano, si evitano i litigi nelle coppie _ si vanno a modificare le idee irrazionali, i modelli disfunzionali di elaborazione delle informazioni (bias interpretativi), il grado di priorità dei valori e degli scopi personali, le convinzioni individuali (nonché le aspettative e desideri che ne derivano) e gli errori di pensiero ( le distorsioni cognitive di Beck come l’esagerazione, la generalizzazione, le spiegazioni prevenute, le etichette negative,, ecc.) dei partner. Si modificano le emozioni o stati d’animo negativi (delusione, rabbia/ostilità, disprezzo, disgusto, ecc.), al fine di raggiungere un maggior grado di soddisfazione nei confronti del partner, attraverso: – una diversa percezione del partner, _ un cambiamento del comportamento personale nei confronti del partner,_ un cambiamento del comportamento da parte del partner o, più spesso, _ un misto di tutte e tre le cose. ( Lo Iacono, 2004)
Gli obiettivi della terapia cognitivo-comportamenale di coppia possono essere sintetizzati in alcuni punti: _ aiutare i singoli partner ad accettare l’altro e le caratteristiche uniche della loro relazione (ciò comporta un lavoro di apprendimento e sviluppo a livello individuale), _ aumentare la consapevolezza delle dinamiche di interazioni ricorrenti nella coppia e dei loro effetti per la soddisfazione reciproca, _ aumentare la disposizione e la capacità a valorizzarsi, sostenersi e gratificarsi vicendevolmente, _ migliorare le capacità comunicative e la gestione dei conflitti.
L’approccio cognitivo-comportamentale si fonda sul presupposto che alla base dei matrimoni riusciti ci sia una reciprocità di gratificazione (rinforzo), ciascun partner dovrebbe rinforzare i comportamenti rinforzanti del partner, seguendo il principio del “dare per avere” (EmmelKamp, 1986), per un’unione felice sono essenziali certe doti di impegno, sensibilità, generosità, considerazione, sollecitudine, lealtà, senso di responsabilità, fidatezza , poi bisogna imparare, scendere a compromessi, agire in base a decisioni prese in comune, avere una certa duttilità, una buona predisposizione ad accettarsi e a perdonarsi, a tollerare difetti, errori e bizzarrie (Beck, 1990).
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