Uscire dalla dipendenza, per quanto difficile e doloroso, non è comunque impossibile. I percorsi terapeutici indicati consistono o nella terapia individuale o nella terapia di coppia.
Nel caso in cui entrambi i membri della coppia avvertano un disagio nella relazione e siano motivati a cercare una soluzione alla propria sofferenza, una terapia di coppia, ovvero un percorso terapeutico che li coinvolga entrambi, può risultare molto valido, oltre che per riflettere sulle premesse a cui si è ispirata la relazione, anche per ricontrattare e negoziare alcune regole fondamentali dello stare insieme o elaborare alcune nuove modalità di rintracciare il proprio benessere personale con o senza l’altro.
Una terapia individuale può aiutare la persona a trovare dei modi più rispettosi e dignitosi di relazionarsi a se stesso e alle figure affettive significative con cui si è instaurata la dipendenza affettiva, al fine soprattutto di evitare di ripetere gli stessi sbagli nelle relazioni in corso o in quelle future.
In entrambe le circostanze, l’aiuto di una terza persona esterna alla dinamica in atto, ovvero il terapeuta, può rivelarsi molto utile soprattutto perché si trova al di fuori di questo circolo vizioso.
mercoledì 19 gennaio 2011
SINTOMI DELLA DIPENDENZA AFFETTIVA
Capita a volte che le persone dipendenti affettivamente, in particolare nei casi di co-dipendenza nella coppia, manifestino alcuni sintomi connessi alla loro modalità relazionale disadattava, come per esempio:
- Depressione
- Disturbi dell’alimentazione
- Insonnia
- Abuso di sostanze
- Disturbi d’ansia
- Sintomi riconducibili ad uno stato psicofisico di stress.
- Depressione
- Disturbi dell’alimentazione
- Insonnia
- Abuso di sostanze
- Disturbi d’ansia
- Sintomi riconducibili ad uno stato psicofisico di stress.
LA STORIA FAMILIARE E LA DIPENDENZA AFFETTIVA
DIPENDENZA AFFETTIVA E STORIA FAMILIARE
Alcune ricerche hanno evidenziato una correlazione tra l’insorgere di un comportamento di dipendenza affettiva in età adulta e alcune dinamiche familiari vissute durante l’infanzia.
Spesso le famiglie di queste persone presentano delle caratteristiche particolari:
1)impossibilità, da parte del bambino, di sperimentare il senso di sicurezza rispetto alla figura affettiva di riferimento
2)tendenza ad assumere con il partner lo stesso ruolo assunto durante l’infanzia con il genitore di riferimento, nella speranza questa volta di ottenere quelle risposte di reciprocità non avute in passato
3)provenienza da una famiglia che tendeva a trascurare i bisogni emotivi ed affettivi dei suoi componenti
4)provenienza da una famiglia che tende ad ignorare le percezioni e i sentimenti del bambino che, di conseguenza, comincia ad adattare le proprie percezioni a quelle delle figure genitoriali, perdendo la capacità di entrare in contatto con i propri stati d’animo autentici e la fiducia nelle proprie sensazioni. Rischia così di non saper riconoscere quali situazioni affettive possano arrecare danno e quali invece no
5)ambiguità nel comportamento dei genitori che possono aver sedotto o abusato dei minori
6) alto livello di conflittualità, tensione e violenza tra i genitori o tra questi e i figli
7) genitori a loro volta dipendenti da sostanze
8) genitori in competizione tra loro, manipolatori nei confronti del bambino con cui cercano di coalizzarsi a discapito del coniuge
9)un’esposizione nell’ambiente familiare a regole oppressive che sono state in grado di coartare un’aperta espressione dei sentimenti da parte del bambino.
Alcune ricerche hanno evidenziato una correlazione tra l’insorgere di un comportamento di dipendenza affettiva in età adulta e alcune dinamiche familiari vissute durante l’infanzia.
Spesso le famiglie di queste persone presentano delle caratteristiche particolari:
1)impossibilità, da parte del bambino, di sperimentare il senso di sicurezza rispetto alla figura affettiva di riferimento
2)tendenza ad assumere con il partner lo stesso ruolo assunto durante l’infanzia con il genitore di riferimento, nella speranza questa volta di ottenere quelle risposte di reciprocità non avute in passato
3)provenienza da una famiglia che tendeva a trascurare i bisogni emotivi ed affettivi dei suoi componenti
4)provenienza da una famiglia che tende ad ignorare le percezioni e i sentimenti del bambino che, di conseguenza, comincia ad adattare le proprie percezioni a quelle delle figure genitoriali, perdendo la capacità di entrare in contatto con i propri stati d’animo autentici e la fiducia nelle proprie sensazioni. Rischia così di non saper riconoscere quali situazioni affettive possano arrecare danno e quali invece no
5)ambiguità nel comportamento dei genitori che possono aver sedotto o abusato dei minori
6) alto livello di conflittualità, tensione e violenza tra i genitori o tra questi e i figli
7) genitori a loro volta dipendenti da sostanze
8) genitori in competizione tra loro, manipolatori nei confronti del bambino con cui cercano di coalizzarsi a discapito del coniuge
9)un’esposizione nell’ambiente familiare a regole oppressive che sono state in grado di coartare un’aperta espressione dei sentimenti da parte del bambino.
DIPENDENZA AFFETTIVA E OSSESSIONE
Il pensiero dell’altro avvolge interamente la vita del dipendente affettivo che, in preda a questo pensiero intrusivo e dominante, non riesce a ritagliarsi spazi mentali e fisici personali di cui godere-
Spesso il bisogno di controllare in modo ossessivo la relazione e il partner viene nascosto dietro un’apparente tendenza all’aiuto dell’altro.
Egli vive interamente all’ombra dell’altro, pronto a servirlo, a correre in suo aiuto, ad accontentarlo, tutte attività che assorbono tempo ed energia e non consentono di investire su se stessi. La “dose” di presenza e di tempo (per usare un termine di Giddens) che l’altro può concedere non basta mai, quasi fosse una sostanza da cui è difficile disintossicarsi.
Quando la persona dipendente arriva alla saturazione e tenta la rottura, spesso in modo drammatico e tragico, il pensiero va subito sul partner appena lasciato e il ricordo dell’amato diventa ancora più opprimente di quanto lo fosse prima della separazione e allora, non riuscendo a sostenere il dolore della perdita e l’idea soverchiante che l’altro è lontano, la persona dipendente ritorna immediatamente sui propri passi, pronta a concedersi ed umiliarsi ancora di più per paura che l’altro, offeso dal gesto di rottura, non voglia più saperne.
Ogni tentativo di uscire dal rapporto, viene immediatamente seguito da un subitaneo pentimento e ogni ripensamento è accompagnato da vergogna e colpa.
Spesso il bisogno di controllare in modo ossessivo la relazione e il partner viene nascosto dietro un’apparente tendenza all’aiuto dell’altro.
Egli vive interamente all’ombra dell’altro, pronto a servirlo, a correre in suo aiuto, ad accontentarlo, tutte attività che assorbono tempo ed energia e non consentono di investire su se stessi. La “dose” di presenza e di tempo (per usare un termine di Giddens) che l’altro può concedere non basta mai, quasi fosse una sostanza da cui è difficile disintossicarsi.
Quando la persona dipendente arriva alla saturazione e tenta la rottura, spesso in modo drammatico e tragico, il pensiero va subito sul partner appena lasciato e il ricordo dell’amato diventa ancora più opprimente di quanto lo fosse prima della separazione e allora, non riuscendo a sostenere il dolore della perdita e l’idea soverchiante che l’altro è lontano, la persona dipendente ritorna immediatamente sui propri passi, pronta a concedersi ed umiliarsi ancora di più per paura che l’altro, offeso dal gesto di rottura, non voglia più saperne.
Ogni tentativo di uscire dal rapporto, viene immediatamente seguito da un subitaneo pentimento e ogni ripensamento è accompagnato da vergogna e colpa.
LA DIPENDENZA AFFETTIVA
La dipendenza affettiva, definita anche “love addiction”, implica
1) la dimensione del controllo, che in questo caso diventa “perdita di controllo o incapacità a controllare un nostro comportamento”
2) la conseguente sensazione di impotenza sperimentata nel constatare che non abbiamo potere sulle nostre azioni
3) l’abitudine che alimenta e rafforza il comportamento disadattivo.
ma all’interno di una relazione con una persona significativa e non con una sostanza o con una cosa come nel caso della tossicodipendenza, della dipendenza da internet, dal gioco….come nelle più comuni dipendenze.
Una quota di dipendenza sussiste in qualsiasi relazione e, se limitata, è utile all’instaurarsi del rapporto in quanto è necessaria all’essere umano per ottenere conferme, sostegno, conforto, empatia e scambio ma, la dipendenza affettiva propriamente detta, assume delle forme così totalizzanti da danneggiare se stessi e la relazione in corso, fino a diventare una vera e propria patologia.
Proprio questa peculiarità, ovvero riferirsi alla relazione con un altro essere umano, ha determinato il suo tardo ingresso nella categoria dei disturbi relazionali, in quanto difficile da riconoscere come un comportamento problematico.
L’aspetto di forte dipendenza dal partner è comprensibile nella fase del corteggiamento e dell’innamoramento, in quanto dipendere dalle conferme da parte dell’altro e aspirare ad un amore quasi fusionale è in parte fisiologico e utile alla nascita del legame, ma questi comportamenti diventano disfunzionali se perdurano nel tempo.
Nella dipendenza affettiva, il partner dipendente si annulla completamente per l’altro la cui esistenza, presenza e vicinanza diventa sostanziale al proprio benessere, alla percezione di essere vivi e utili.
Per tali motivi la persona dipendente si immola per l’altro, dedicandogli tutto se stesso, disconoscendo i propri bisogni evolutivi, consapevole di vivere all’interno di un rapporto in cui non esiste reciprocità, in una relazione squilibrata rispetto al “dare” e al “ricevere”, in cui l’altro può permettersi anche un atteggiamento parassitario o opportunistico, più o meno volontario, spesso consapevole del fatto che il suo partner dipendente non si distanzierà mai affettivamente da lui, anzi, paradossalmente, più massicce sono le richieste, più si rafforza la dimensione della dipendenza.
Accade con una certa frequenza che i due partners non siano per niente affini sentimentalmente, culturalmente, che non condividano progetti, interessi. Le priorità dell’uno a volte non corrispondono a quelle dell’altro, così come non coincidono le aspettative, i bisogni. La relazione può essere per entrambi poco gratificante, autodistruttiva e umiliante ma, nonostante la consapevolezza della scarsa qualità del rapporto, non si riesce a distaccarsi.
Questo meccanismo relazionale spesso presuppone che il partner verso cui si prova quasi devozione e completa sottomissione, venga percepito dalla persona dipendente come una sorta di “salvatore”, la cui vicinanza va a colmare un “vuoto esistenziale e affettivo” che, senza di lui, non si intravede la possibilità di riempire.
In realtà questa forma distorta di aiuto è attuata anche dal dipendente affettivo che, frequentemente, sceglie un partner problematico, a sua volta legato a qualche altra forma di dipendenza (da droga, alcool, sesso, gioco…) e, proprio per questo motivo, crede di poterlo salvare, quasi fosse una missione. Il suo ruolo di redentore giustificherebbe l’attitudine sacrificale ad omettere le proprie esigenze, in una specie di martirio quotidiano.
Una variante di questa situazione è la co-dipendenza affettiva che presuppone che entrambi i partners mostrino dipendenza affettiva l’uno nei confronti dell’altro arrivando ad instaurare una dimensione relazionale basata sul controllo costante dello stato psichico dell’altro, come unica possibilità di dimostrare il proprio valore, la propria forza e alimentare la propria autostima.
Alcune caratteristiche tipiche di questa forma di dipendenza affettiva sono la dispersione o diffusione dell’identità, le sensazioni e vissuti di vuoto cronico, gli impulsi e compulsioni e le le distorsioni nelle distanze interpersonali.
Cermak (1986) individua quattro criteri su cui poter diagnosticare una co-dipendenza:
1. Tendenza ad investire continuamente la propria autostima nel controllo di sé e degli altri, benché vengano sperimentate conseguenze negative;
2. Assunzione della responsabilità altrui pur di soddisfare i bisogni del partner, fino a disconoscere i propri;
3. Presenza di stati d’ansia e mancata percezione dei confini tra sé e l’altro in situazioni di intimità e di separazione;
4. Abituale coinvolgimento in relazioni con persone che presentano disturbi di personalità, dipendenze, disturbi del controllo degli impulsi o co-dipendenti.
Spesso questa patologia della relazione contribuisce al mantenimento del sintomo del partner che presenta il disturbo specifico (tossicodipendenza, un disturbo alimentare come ad esempio anoressia, bulimia e binge-eating disosrder o disturbo da alimentazione incontrollata….).
La paura è l’emozione dominante in questa forma di dipendenza e guida la maggior parte dei comportamenti inconsulti messi in atto. La persona dipendente vive quotidianamente sotto scacco di vari tipi di paura:
1) La paura della separazione e dell’abbandono
Per farsi ben volere è disposta a fare cose spiacevoli e degradanti e, pur di stare nell’orbita dell’altro, può accettare situazioni per chiunque intollerabili (Lingiardi V., 2005), bastonando costantemente la propria dignità e la propria autostima.
Poiché è inconcepibile pensare alla propria vita senza l’altro, il dipendente fa di tutto per evitare che l’altro sfugga ma, inevitabilmente, provoca il rifiuto di quest’ultimo. Questo rifiuto alimenta ulteriormente il senso di inadeguatezza, la paura dell’abbandono e della solitudine.
Queste sensazioni insopportabili rinforzano a loro volta l’attitudine a calpestare i propri bisogni, i propri spazi. Spesso il partner dipendente vive seguendo l’aspettativa irrealistica che prima o poi perseguirà il suo obiettivo di “farsi amare esattamente come vuole essere amato” e che “il compagno/a non potrà non innamorarsi di lui/lei”.
2) La paura del cambiamento
Non è raro che gli individui affettivamente dipendenti ristagnino per lungo tempo all’interno di queste sabbie mobili relazionali, senza progettualità, senza evolversi, crescendo molto lentamente e il minimo indispensabile perché ogni cambiamento diventa un ulteriore elemento che può sfuggire al proprio controllo, proprio come fa la persona amata.
La percezione che la propria vita si sia fermata è molto forte e frustrante e, proprio questa consapevolezza, contribuisce a fare in modo di “non lasciare la presa”, di perseverare nell’intento di farsi amare da una persona su cui hanno investito a lungo energie e speranze, smettendo di vivere e soffocando le iniziative rivolte al proprio benessere.
I vissuti emotivi dei dipendenti affettivi infatti alternano sentimenti di rabbia e rimorso a vergogna e colpa anche perché, spesso, si mostrano per quelli che non sono, rinunciando ad aspetti sostanziali della propria identità per assumere maschere che hanno il solo scopo di compiacere l’amato. Anche per questi motivi sovente sono gelosi e possessivi.
Più si impegnano a trattenere l’altro a sé e si immolano alla causa, più la posta in gioco diventa alta ed è impensabile tornare indietro o abbandonare tutto.
1) la dimensione del controllo, che in questo caso diventa “perdita di controllo o incapacità a controllare un nostro comportamento”
2) la conseguente sensazione di impotenza sperimentata nel constatare che non abbiamo potere sulle nostre azioni
3) l’abitudine che alimenta e rafforza il comportamento disadattivo.
ma all’interno di una relazione con una persona significativa e non con una sostanza o con una cosa come nel caso della tossicodipendenza, della dipendenza da internet, dal gioco….come nelle più comuni dipendenze.
Una quota di dipendenza sussiste in qualsiasi relazione e, se limitata, è utile all’instaurarsi del rapporto in quanto è necessaria all’essere umano per ottenere conferme, sostegno, conforto, empatia e scambio ma, la dipendenza affettiva propriamente detta, assume delle forme così totalizzanti da danneggiare se stessi e la relazione in corso, fino a diventare una vera e propria patologia.
Proprio questa peculiarità, ovvero riferirsi alla relazione con un altro essere umano, ha determinato il suo tardo ingresso nella categoria dei disturbi relazionali, in quanto difficile da riconoscere come un comportamento problematico.
L’aspetto di forte dipendenza dal partner è comprensibile nella fase del corteggiamento e dell’innamoramento, in quanto dipendere dalle conferme da parte dell’altro e aspirare ad un amore quasi fusionale è in parte fisiologico e utile alla nascita del legame, ma questi comportamenti diventano disfunzionali se perdurano nel tempo.
Nella dipendenza affettiva, il partner dipendente si annulla completamente per l’altro la cui esistenza, presenza e vicinanza diventa sostanziale al proprio benessere, alla percezione di essere vivi e utili.
Per tali motivi la persona dipendente si immola per l’altro, dedicandogli tutto se stesso, disconoscendo i propri bisogni evolutivi, consapevole di vivere all’interno di un rapporto in cui non esiste reciprocità, in una relazione squilibrata rispetto al “dare” e al “ricevere”, in cui l’altro può permettersi anche un atteggiamento parassitario o opportunistico, più o meno volontario, spesso consapevole del fatto che il suo partner dipendente non si distanzierà mai affettivamente da lui, anzi, paradossalmente, più massicce sono le richieste, più si rafforza la dimensione della dipendenza.
Accade con una certa frequenza che i due partners non siano per niente affini sentimentalmente, culturalmente, che non condividano progetti, interessi. Le priorità dell’uno a volte non corrispondono a quelle dell’altro, così come non coincidono le aspettative, i bisogni. La relazione può essere per entrambi poco gratificante, autodistruttiva e umiliante ma, nonostante la consapevolezza della scarsa qualità del rapporto, non si riesce a distaccarsi.
Questo meccanismo relazionale spesso presuppone che il partner verso cui si prova quasi devozione e completa sottomissione, venga percepito dalla persona dipendente come una sorta di “salvatore”, la cui vicinanza va a colmare un “vuoto esistenziale e affettivo” che, senza di lui, non si intravede la possibilità di riempire.
In realtà questa forma distorta di aiuto è attuata anche dal dipendente affettivo che, frequentemente, sceglie un partner problematico, a sua volta legato a qualche altra forma di dipendenza (da droga, alcool, sesso, gioco…) e, proprio per questo motivo, crede di poterlo salvare, quasi fosse una missione. Il suo ruolo di redentore giustificherebbe l’attitudine sacrificale ad omettere le proprie esigenze, in una specie di martirio quotidiano.
Una variante di questa situazione è la co-dipendenza affettiva che presuppone che entrambi i partners mostrino dipendenza affettiva l’uno nei confronti dell’altro arrivando ad instaurare una dimensione relazionale basata sul controllo costante dello stato psichico dell’altro, come unica possibilità di dimostrare il proprio valore, la propria forza e alimentare la propria autostima.
Alcune caratteristiche tipiche di questa forma di dipendenza affettiva sono la dispersione o diffusione dell’identità, le sensazioni e vissuti di vuoto cronico, gli impulsi e compulsioni e le le distorsioni nelle distanze interpersonali.
Cermak (1986) individua quattro criteri su cui poter diagnosticare una co-dipendenza:
1. Tendenza ad investire continuamente la propria autostima nel controllo di sé e degli altri, benché vengano sperimentate conseguenze negative;
2. Assunzione della responsabilità altrui pur di soddisfare i bisogni del partner, fino a disconoscere i propri;
3. Presenza di stati d’ansia e mancata percezione dei confini tra sé e l’altro in situazioni di intimità e di separazione;
4. Abituale coinvolgimento in relazioni con persone che presentano disturbi di personalità, dipendenze, disturbi del controllo degli impulsi o co-dipendenti.
Spesso questa patologia della relazione contribuisce al mantenimento del sintomo del partner che presenta il disturbo specifico (tossicodipendenza, un disturbo alimentare come ad esempio anoressia, bulimia e binge-eating disosrder o disturbo da alimentazione incontrollata….).
La paura è l’emozione dominante in questa forma di dipendenza e guida la maggior parte dei comportamenti inconsulti messi in atto. La persona dipendente vive quotidianamente sotto scacco di vari tipi di paura:
1) La paura della separazione e dell’abbandono
Per farsi ben volere è disposta a fare cose spiacevoli e degradanti e, pur di stare nell’orbita dell’altro, può accettare situazioni per chiunque intollerabili (Lingiardi V., 2005), bastonando costantemente la propria dignità e la propria autostima.
Poiché è inconcepibile pensare alla propria vita senza l’altro, il dipendente fa di tutto per evitare che l’altro sfugga ma, inevitabilmente, provoca il rifiuto di quest’ultimo. Questo rifiuto alimenta ulteriormente il senso di inadeguatezza, la paura dell’abbandono e della solitudine.
Queste sensazioni insopportabili rinforzano a loro volta l’attitudine a calpestare i propri bisogni, i propri spazi. Spesso il partner dipendente vive seguendo l’aspettativa irrealistica che prima o poi perseguirà il suo obiettivo di “farsi amare esattamente come vuole essere amato” e che “il compagno/a non potrà non innamorarsi di lui/lei”.
2) La paura del cambiamento
Non è raro che gli individui affettivamente dipendenti ristagnino per lungo tempo all’interno di queste sabbie mobili relazionali, senza progettualità, senza evolversi, crescendo molto lentamente e il minimo indispensabile perché ogni cambiamento diventa un ulteriore elemento che può sfuggire al proprio controllo, proprio come fa la persona amata.
La percezione che la propria vita si sia fermata è molto forte e frustrante e, proprio questa consapevolezza, contribuisce a fare in modo di “non lasciare la presa”, di perseverare nell’intento di farsi amare da una persona su cui hanno investito a lungo energie e speranze, smettendo di vivere e soffocando le iniziative rivolte al proprio benessere.
I vissuti emotivi dei dipendenti affettivi infatti alternano sentimenti di rabbia e rimorso a vergogna e colpa anche perché, spesso, si mostrano per quelli che non sono, rinunciando ad aspetti sostanziali della propria identità per assumere maschere che hanno il solo scopo di compiacere l’amato. Anche per questi motivi sovente sono gelosi e possessivi.
Più si impegnano a trattenere l’altro a sé e si immolano alla causa, più la posta in gioco diventa alta ed è impensabile tornare indietro o abbandonare tutto.
LA TERAPIA DI COPPIA
Molte coppie in crisi, prima di giungere alla comunque dolorosa decisione di lasciarsi, decidono di intraprendere una terapia di coppia, per tentare di salvare la loro unione. Non tutti però sanno bene a cosa vanno incontro e che tipo di impegno una terapia di coppia possa richiedere. Ecco dunque alcune informazioni che possono aiutare a prendere una decisione consapevole.
E' normale che la relazione di coppia cambi nel tempo?
La relazione di coppia non è statica, ma dinamica, nel senso che si trasforma continuamente.
Con il trascorrere del tempo infatti, con la frequentazione e la conoscenza fra i due partners, i sentimenti e le emozioni dell’innamoramento si trasformano in un sentimento più profondo, quello dell’amore. La relazione fra i due partners diventa più stabile e solida, ma le emozioni travolgenti dell'inizio si fanno sempre più sfumate. In una coppia stabile e duratura, molte sono le vicende della vita che i due partners dovranno affrontare: l'attraversamento di queste esperienze cambierà moltissimo sia le due persone, sia la loro relazione. In alcuni casi i cambiamenti riguarderanno in prevalenza solo uno dei due partners, in altri casi li riguarderanno entrambi. Questi cambiamenti, che non sempre vanno nella stessa direzione, possono a volte provocare uno squilibrio molto forte, che può spingere la coppia in una profonda crisi, dalla quale non sempre è facile riemergere.
Esistono coppie felici, che non hanno mai conosciuto una crisi?
Il terapeuta John Gottman, che ha a lungo studiato le coppie stabili, ha scoperto che non esistono coppie assolutamente felici: tutti, chi più chi meno, durante la loro vita di coppia sperimentano dei conflitti, dei litigi, dei momenti di tensione, più o meno forte. Le coppie che appaiono più felici tuttavia sembrano avere un segreto: quello di saper gestire i conflitti, con affetto e spirito di amicizia. Le coppie infelici non hanno questa capacità e per questo ad un certo punto della vita decidono di separarsi, senza cercare possibili rimedi, come quello di una terapia di coppia.
In cosa consiste una terapia di coppia?
Come dice la parola, la terapia di coppia riguarda la coppia: dunque non la famiglia allargata ai figli, non le due persone prese singolarmente. L'attenzione viene focalizzata sulla relazione e sui cambiamenti che possono essere ad essa apportati, sia nel modo di comunicare, sia negli atteggiamenti da prendere.
Quale è l'obiettivo di una terapia di coppia?
L'obiettivo di una terapia di coppia è quello di fornire ai due partners una nuova chiave di lettura dei comportamenti propri e del partner nei momenti di crisi, ma soprattutto è quello di individuare ed applicare dei cambiamenti che possano ristabilire equilibrio e serenità, se non felicità, alla coppia.
Cosa succede durante una terapia di coppia?
Durante una terapia di coppia entrambi i partners si siedono davanti al terapeuta e discutono liberamente dei loro pensieri e dei loro sentimenti.
Una terapia di coppia coinvolge anche i figli?
No: le terapie che coinvolgono anche i figli si chiamano "terapie familiari". Esse sono diverse, perché si focalizzano sulle dinamiche fra i vari componenti della famiglia e non solo sui due membri della coppia.
Che differenza c'è fra terapia di coppia e mediazione familiare?
La mediazione familiare non esplora aspetti della vita passata della coppia, ma solo quelli presenti e futuri, attraverso il raggiungimento di accordi psico-legali condivisi. Essa è importantissima in fase di pre-separazione. La terapia di coppia viene invece intrapresa quando i due partners desiderano risolvere i conflitti che li hanno mandati in crisi, preferibilmente allo scopo di rimanere insieme, e non di separarsi (anche se talvolta anche la terapia di coppia può portare alla decisione condivisa che sia meglio chiedere la separazione). La terapia di coppia prevede certamente anche una mediazione, ma ha rispetto ad essa obiettivi superiori, che riguardano non solo gli aspetti pratici dell'esistenza, ma il benessere generale delle persone che desiderano continuare a vivere in coppia.
C'è differenza fra terapia di coppia e terapia sessuale?
La terapia di coppia si interessa anche degli aspetti sessuali, mentre una terapia sessuale si dovrebbe focalizzare esclusivamente sulle disfunzionalità sessuali della coppia, tralasciando gli aspetti relazionali. In realtà è assai difficile disgiungere i due aspetti, che vengono dunque nella pratica sempre affrontati insieme.
Quando si inizia in genere una terapia di coppia?
Si giunge in genere ad una terapia di coppia quando c’è una cronica mancanza di dialogo, quando si sono verificati dei tradimenti, oppure ci sono dissonanze significative sull’educazione da dare ai figli. Quando si è sull’orlo di una separazione legale i due partners non comunicano più e soprattutto non si fidano più l'uno dell'altro.
La Terapia di coppia rappresenta una modalità efficace per risolvere i problemi e i conflitti che gravano sulla relazione e che i due partners non riescono a gestire da soli.
E' possibile uscire da una crisi di coppia senza ricorrere ad un aiuto professionale?
Certamente. Si giunge ad una terapia di coppia quando ci si rende conto che, per tantissimi motivi, non ci si riesce da soli e si ha bisogno di un aiuto esterno.
In che cosa consiste la psicoterapia di coppia?
Si parte in genere dalla storia della coppia, per meglio comprendere quali sono i cambiamenti che hanno creato l'instabilità ed i conflitti lamentati. Dopo una prima valutazione del caso il terapeuta propone, se necessario, una terapia, indicandone le modalità, i costi, i tempi. Durante la terapia vengono discusse in modo approfondito tutte le tematiche presentate, cercando di analizzarle e di trovare modalità alternative che possano essere d'aiuto nella soluzione dei conflitti.
Se solo uno dei due partners è d'accordo a fare la terapia di coppia essa funziona lo stesso?
No: entrambi i partners devono essere motivati ad intraprendere questo lavoro, su sé stessi e sulla propria relazione. Non bisogna tuttavia scoraggiarsi subito: il partner poco motivato potrebbe sbloccarsi alla seconda o terza seduta; certamente se la cosa non avviene, la terapia di coppia non può proseguire.
Una terapia di coppia mira sempre a mantenere insieme la coppia, a non farla separare?
Una terapia di coppia non deve mirare a mantenere unita la coppia, ma a cercare di capire quale è la situazione migliore per quella determinata coppia, o per quella determinata famiglia: in alcuni casi la separazione può essere riconosciuta come il male minore.
Quanto tempo occorre per riscontrare i benefici di una terapia di coppia?
Una psicoterapia di coppia, se funziona, comincia a produrre i suoi effetti già dalle prime sedute: i due partners si sentono più sereni, tornano a comunicare e riprendono ad avere rapporti sessuali; per questo motivo la durata complessiva non è mai molto lunga.
L'impegno è limitato alle ore di seduta o vi sono altri impegni da svolgere durante la giornata?
Oltre che nei discorsi fatti in seduta, questo particolare tipo di psicoterapia si basa anche sulla formulazione di obiettivi da raggiungere, per cui non è raro che il terapeuta assegni dei ‘compiti’ da svolgere a casa, che possono riguardare entrambi i partners o, di volta in volta, uno dei due. In genere uno dei compiti più frequentemente assegnati ad entrambi i partners è quello di scrivere un diario con le loro sensazioni, i pensieri e le emozioni provate durante la settimane, in modo da riproporre questo materiale in seduta, per poterlo analizzare insieme al terapeuta.
I coniugi devono modificare i loro comportamenti durante una terapia di coppia?
Quando si è in terapia, la legge fondamentale da osservare è quella del silenzio a casa: si può infatti parlare di tutto nella coppia, tranne che delle cose che principalmente dividono. Soprattutto, se c’è da litigare, bisogna trattenersi, per poterlo fare in una situazione protetta, come nel setting terapeutico.
Quale tipo di psicoterapia di coppia è più efficace?
Vi sono in effetti molti tipi di terapie, ma ciò che fa la differenza non è tanto la scuola teorica alla quale il terapeuta appartiene, quanto la possibilità di instaurare un buon legame terapeutico fra pazienti e specialista.
In termini tecnici questo feeling condiviso si chiama ‘alleanza terapeutica’ ed è questo il vero punto di forza di una buona terapia. Per essere certi che vi siano tutte le premesse per cominciare un percorso terapeutico con un dato professionista occorre anzitutto accertarsi che, sin dalle prime sedute vi siano: rispetto reciproco (soprattutto da parte del terapeuta, visto che i pazienti, chiedendogli aiuto, si mettono in una condizione di oggettiva vulnerabilità); capacità di entrare in relazione (non è necessario essersi reciprocamente simpatici, ma è assolutamente indispensabile che il terapeuta sia accogliente, empatico, tollerante nei confronti delle problematiche portate dalla coppia); flessibilità’ (il terapeuta deve essere flessibile: la pretesa di voler seguire alla lettera un metodo terapeutico spesso cozza contro la realtà ed i bisogni delle persone).
Quale tipo di impegno comporta una psicoterapia di coppia?
Le sedute possono essere settimanali o quindicinali, a seconda delle situazioni e del grado di conflittualità; la durata di ogni seduta è leggermente più lunga di una seduta individuale; il costo varia moltissimo da uno specialista all’altro, per cui vale la pena informarsi in modo preventivo sul costo di una seduta, in modo da rendersi conto se la spesa può essere affrontabile.
E' normale che la relazione di coppia cambi nel tempo?
La relazione di coppia non è statica, ma dinamica, nel senso che si trasforma continuamente.
Con il trascorrere del tempo infatti, con la frequentazione e la conoscenza fra i due partners, i sentimenti e le emozioni dell’innamoramento si trasformano in un sentimento più profondo, quello dell’amore. La relazione fra i due partners diventa più stabile e solida, ma le emozioni travolgenti dell'inizio si fanno sempre più sfumate. In una coppia stabile e duratura, molte sono le vicende della vita che i due partners dovranno affrontare: l'attraversamento di queste esperienze cambierà moltissimo sia le due persone, sia la loro relazione. In alcuni casi i cambiamenti riguarderanno in prevalenza solo uno dei due partners, in altri casi li riguarderanno entrambi. Questi cambiamenti, che non sempre vanno nella stessa direzione, possono a volte provocare uno squilibrio molto forte, che può spingere la coppia in una profonda crisi, dalla quale non sempre è facile riemergere.
Esistono coppie felici, che non hanno mai conosciuto una crisi?
Il terapeuta John Gottman, che ha a lungo studiato le coppie stabili, ha scoperto che non esistono coppie assolutamente felici: tutti, chi più chi meno, durante la loro vita di coppia sperimentano dei conflitti, dei litigi, dei momenti di tensione, più o meno forte. Le coppie che appaiono più felici tuttavia sembrano avere un segreto: quello di saper gestire i conflitti, con affetto e spirito di amicizia. Le coppie infelici non hanno questa capacità e per questo ad un certo punto della vita decidono di separarsi, senza cercare possibili rimedi, come quello di una terapia di coppia.
In cosa consiste una terapia di coppia?
Come dice la parola, la terapia di coppia riguarda la coppia: dunque non la famiglia allargata ai figli, non le due persone prese singolarmente. L'attenzione viene focalizzata sulla relazione e sui cambiamenti che possono essere ad essa apportati, sia nel modo di comunicare, sia negli atteggiamenti da prendere.
Quale è l'obiettivo di una terapia di coppia?
L'obiettivo di una terapia di coppia è quello di fornire ai due partners una nuova chiave di lettura dei comportamenti propri e del partner nei momenti di crisi, ma soprattutto è quello di individuare ed applicare dei cambiamenti che possano ristabilire equilibrio e serenità, se non felicità, alla coppia.
Cosa succede durante una terapia di coppia?
Durante una terapia di coppia entrambi i partners si siedono davanti al terapeuta e discutono liberamente dei loro pensieri e dei loro sentimenti.
Una terapia di coppia coinvolge anche i figli?
No: le terapie che coinvolgono anche i figli si chiamano "terapie familiari". Esse sono diverse, perché si focalizzano sulle dinamiche fra i vari componenti della famiglia e non solo sui due membri della coppia.
Che differenza c'è fra terapia di coppia e mediazione familiare?
La mediazione familiare non esplora aspetti della vita passata della coppia, ma solo quelli presenti e futuri, attraverso il raggiungimento di accordi psico-legali condivisi. Essa è importantissima in fase di pre-separazione. La terapia di coppia viene invece intrapresa quando i due partners desiderano risolvere i conflitti che li hanno mandati in crisi, preferibilmente allo scopo di rimanere insieme, e non di separarsi (anche se talvolta anche la terapia di coppia può portare alla decisione condivisa che sia meglio chiedere la separazione). La terapia di coppia prevede certamente anche una mediazione, ma ha rispetto ad essa obiettivi superiori, che riguardano non solo gli aspetti pratici dell'esistenza, ma il benessere generale delle persone che desiderano continuare a vivere in coppia.
C'è differenza fra terapia di coppia e terapia sessuale?
La terapia di coppia si interessa anche degli aspetti sessuali, mentre una terapia sessuale si dovrebbe focalizzare esclusivamente sulle disfunzionalità sessuali della coppia, tralasciando gli aspetti relazionali. In realtà è assai difficile disgiungere i due aspetti, che vengono dunque nella pratica sempre affrontati insieme.
Quando si inizia in genere una terapia di coppia?
Si giunge in genere ad una terapia di coppia quando c’è una cronica mancanza di dialogo, quando si sono verificati dei tradimenti, oppure ci sono dissonanze significative sull’educazione da dare ai figli. Quando si è sull’orlo di una separazione legale i due partners non comunicano più e soprattutto non si fidano più l'uno dell'altro.
La Terapia di coppia rappresenta una modalità efficace per risolvere i problemi e i conflitti che gravano sulla relazione e che i due partners non riescono a gestire da soli.
E' possibile uscire da una crisi di coppia senza ricorrere ad un aiuto professionale?
Certamente. Si giunge ad una terapia di coppia quando ci si rende conto che, per tantissimi motivi, non ci si riesce da soli e si ha bisogno di un aiuto esterno.
In che cosa consiste la psicoterapia di coppia?
Si parte in genere dalla storia della coppia, per meglio comprendere quali sono i cambiamenti che hanno creato l'instabilità ed i conflitti lamentati. Dopo una prima valutazione del caso il terapeuta propone, se necessario, una terapia, indicandone le modalità, i costi, i tempi. Durante la terapia vengono discusse in modo approfondito tutte le tematiche presentate, cercando di analizzarle e di trovare modalità alternative che possano essere d'aiuto nella soluzione dei conflitti.
Se solo uno dei due partners è d'accordo a fare la terapia di coppia essa funziona lo stesso?
No: entrambi i partners devono essere motivati ad intraprendere questo lavoro, su sé stessi e sulla propria relazione. Non bisogna tuttavia scoraggiarsi subito: il partner poco motivato potrebbe sbloccarsi alla seconda o terza seduta; certamente se la cosa non avviene, la terapia di coppia non può proseguire.
Una terapia di coppia mira sempre a mantenere insieme la coppia, a non farla separare?
Una terapia di coppia non deve mirare a mantenere unita la coppia, ma a cercare di capire quale è la situazione migliore per quella determinata coppia, o per quella determinata famiglia: in alcuni casi la separazione può essere riconosciuta come il male minore.
Quanto tempo occorre per riscontrare i benefici di una terapia di coppia?
Una psicoterapia di coppia, se funziona, comincia a produrre i suoi effetti già dalle prime sedute: i due partners si sentono più sereni, tornano a comunicare e riprendono ad avere rapporti sessuali; per questo motivo la durata complessiva non è mai molto lunga.
L'impegno è limitato alle ore di seduta o vi sono altri impegni da svolgere durante la giornata?
Oltre che nei discorsi fatti in seduta, questo particolare tipo di psicoterapia si basa anche sulla formulazione di obiettivi da raggiungere, per cui non è raro che il terapeuta assegni dei ‘compiti’ da svolgere a casa, che possono riguardare entrambi i partners o, di volta in volta, uno dei due. In genere uno dei compiti più frequentemente assegnati ad entrambi i partners è quello di scrivere un diario con le loro sensazioni, i pensieri e le emozioni provate durante la settimane, in modo da riproporre questo materiale in seduta, per poterlo analizzare insieme al terapeuta.
I coniugi devono modificare i loro comportamenti durante una terapia di coppia?
Quando si è in terapia, la legge fondamentale da osservare è quella del silenzio a casa: si può infatti parlare di tutto nella coppia, tranne che delle cose che principalmente dividono. Soprattutto, se c’è da litigare, bisogna trattenersi, per poterlo fare in una situazione protetta, come nel setting terapeutico.
Quale tipo di psicoterapia di coppia è più efficace?
Vi sono in effetti molti tipi di terapie, ma ciò che fa la differenza non è tanto la scuola teorica alla quale il terapeuta appartiene, quanto la possibilità di instaurare un buon legame terapeutico fra pazienti e specialista.
In termini tecnici questo feeling condiviso si chiama ‘alleanza terapeutica’ ed è questo il vero punto di forza di una buona terapia. Per essere certi che vi siano tutte le premesse per cominciare un percorso terapeutico con un dato professionista occorre anzitutto accertarsi che, sin dalle prime sedute vi siano: rispetto reciproco (soprattutto da parte del terapeuta, visto che i pazienti, chiedendogli aiuto, si mettono in una condizione di oggettiva vulnerabilità); capacità di entrare in relazione (non è necessario essersi reciprocamente simpatici, ma è assolutamente indispensabile che il terapeuta sia accogliente, empatico, tollerante nei confronti delle problematiche portate dalla coppia); flessibilità’ (il terapeuta deve essere flessibile: la pretesa di voler seguire alla lettera un metodo terapeutico spesso cozza contro la realtà ed i bisogni delle persone).
Quale tipo di impegno comporta una psicoterapia di coppia?
Le sedute possono essere settimanali o quindicinali, a seconda delle situazioni e del grado di conflittualità; la durata di ogni seduta è leggermente più lunga di una seduta individuale; il costo varia moltissimo da uno specialista all’altro, per cui vale la pena informarsi in modo preventivo sul costo di una seduta, in modo da rendersi conto se la spesa può essere affrontabile.
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