La dipendenza affettiva, definita anche “love addiction”, implica
1) la dimensione del controllo, che in questo caso diventa “perdita di controllo o incapacità a controllare un nostro comportamento”
2) la conseguente sensazione di impotenza sperimentata nel constatare che non abbiamo potere sulle nostre azioni
3) l’abitudine che alimenta e rafforza il comportamento disadattivo.
ma all’interno di una relazione con una persona significativa e non con una sostanza o con una cosa come nel caso della tossicodipendenza, della dipendenza da internet, dal gioco….come nelle più comuni dipendenze.
Una quota di dipendenza sussiste in qualsiasi relazione e, se limitata, è utile all’instaurarsi del rapporto in quanto è necessaria all’essere umano per ottenere conferme, sostegno, conforto, empatia e scambio ma, la dipendenza affettiva propriamente detta, assume delle forme così totalizzanti da danneggiare se stessi e la relazione in corso, fino a diventare una vera e propria patologia.
Proprio questa peculiarità, ovvero riferirsi alla relazione con un altro essere umano, ha determinato il suo tardo ingresso nella categoria dei disturbi relazionali, in quanto difficile da riconoscere come un comportamento problematico.
L’aspetto di forte dipendenza dal partner è comprensibile nella fase del corteggiamento e dell’innamoramento, in quanto dipendere dalle conferme da parte dell’altro e aspirare ad un amore quasi fusionale è in parte fisiologico e utile alla nascita del legame, ma questi comportamenti diventano disfunzionali se perdurano nel tempo.
Nella dipendenza affettiva, il partner dipendente si annulla completamente per l’altro la cui esistenza, presenza e vicinanza diventa sostanziale al proprio benessere, alla percezione di essere vivi e utili.
Per tali motivi la persona dipendente si immola per l’altro, dedicandogli tutto se stesso, disconoscendo i propri bisogni evolutivi, consapevole di vivere all’interno di un rapporto in cui non esiste reciprocità, in una relazione squilibrata rispetto al “dare” e al “ricevere”, in cui l’altro può permettersi anche un atteggiamento parassitario o opportunistico, più o meno volontario, spesso consapevole del fatto che il suo partner dipendente non si distanzierà mai affettivamente da lui, anzi, paradossalmente, più massicce sono le richieste, più si rafforza la dimensione della dipendenza.
Accade con una certa frequenza che i due partners non siano per niente affini sentimentalmente, culturalmente, che non condividano progetti, interessi. Le priorità dell’uno a volte non corrispondono a quelle dell’altro, così come non coincidono le aspettative, i bisogni. La relazione può essere per entrambi poco gratificante, autodistruttiva e umiliante ma, nonostante la consapevolezza della scarsa qualità del rapporto, non si riesce a distaccarsi.
Questo meccanismo relazionale spesso presuppone che il partner verso cui si prova quasi devozione e completa sottomissione, venga percepito dalla persona dipendente come una sorta di “salvatore”, la cui vicinanza va a colmare un “vuoto esistenziale e affettivo” che, senza di lui, non si intravede la possibilità di riempire.
In realtà questa forma distorta di aiuto è attuata anche dal dipendente affettivo che, frequentemente, sceglie un partner problematico, a sua volta legato a qualche altra forma di dipendenza (da droga, alcool, sesso, gioco…) e, proprio per questo motivo, crede di poterlo salvare, quasi fosse una missione. Il suo ruolo di redentore giustificherebbe l’attitudine sacrificale ad omettere le proprie esigenze, in una specie di martirio quotidiano.
Una variante di questa situazione è la co-dipendenza affettiva che presuppone che entrambi i partners mostrino dipendenza affettiva l’uno nei confronti dell’altro arrivando ad instaurare una dimensione relazionale basata sul controllo costante dello stato psichico dell’altro, come unica possibilità di dimostrare il proprio valore, la propria forza e alimentare la propria autostima.
Alcune caratteristiche tipiche di questa forma di dipendenza affettiva sono la dispersione o diffusione dell’identità, le sensazioni e vissuti di vuoto cronico, gli impulsi e compulsioni e le le distorsioni nelle distanze interpersonali.
Cermak (1986) individua quattro criteri su cui poter diagnosticare una co-dipendenza:
1. Tendenza ad investire continuamente la propria autostima nel controllo di sé e degli altri, benché vengano sperimentate conseguenze negative;
2. Assunzione della responsabilità altrui pur di soddisfare i bisogni del partner, fino a disconoscere i propri;
3. Presenza di stati d’ansia e mancata percezione dei confini tra sé e l’altro in situazioni di intimità e di separazione;
4. Abituale coinvolgimento in relazioni con persone che presentano disturbi di personalità, dipendenze, disturbi del controllo degli impulsi o co-dipendenti.
Spesso questa patologia della relazione contribuisce al mantenimento del sintomo del partner che presenta il disturbo specifico (tossicodipendenza, un disturbo alimentare come ad esempio anoressia, bulimia e binge-eating disosrder o disturbo da alimentazione incontrollata….).
La paura è l’emozione dominante in questa forma di dipendenza e guida la maggior parte dei comportamenti inconsulti messi in atto. La persona dipendente vive quotidianamente sotto scacco di vari tipi di paura:
1) La paura della separazione e dell’abbandono
Per farsi ben volere è disposta a fare cose spiacevoli e degradanti e, pur di stare nell’orbita dell’altro, può accettare situazioni per chiunque intollerabili (Lingiardi V., 2005), bastonando costantemente la propria dignità e la propria autostima.
Poiché è inconcepibile pensare alla propria vita senza l’altro, il dipendente fa di tutto per evitare che l’altro sfugga ma, inevitabilmente, provoca il rifiuto di quest’ultimo. Questo rifiuto alimenta ulteriormente il senso di inadeguatezza, la paura dell’abbandono e della solitudine.
Queste sensazioni insopportabili rinforzano a loro volta l’attitudine a calpestare i propri bisogni, i propri spazi. Spesso il partner dipendente vive seguendo l’aspettativa irrealistica che prima o poi perseguirà il suo obiettivo di “farsi amare esattamente come vuole essere amato” e che “il compagno/a non potrà non innamorarsi di lui/lei”.
2) La paura del cambiamento
Non è raro che gli individui affettivamente dipendenti ristagnino per lungo tempo all’interno di queste sabbie mobili relazionali, senza progettualità, senza evolversi, crescendo molto lentamente e il minimo indispensabile perché ogni cambiamento diventa un ulteriore elemento che può sfuggire al proprio controllo, proprio come fa la persona amata.
La percezione che la propria vita si sia fermata è molto forte e frustrante e, proprio questa consapevolezza, contribuisce a fare in modo di “non lasciare la presa”, di perseverare nell’intento di farsi amare da una persona su cui hanno investito a lungo energie e speranze, smettendo di vivere e soffocando le iniziative rivolte al proprio benessere.
I vissuti emotivi dei dipendenti affettivi infatti alternano sentimenti di rabbia e rimorso a vergogna e colpa anche perché, spesso, si mostrano per quelli che non sono, rinunciando ad aspetti sostanziali della propria identità per assumere maschere che hanno il solo scopo di compiacere l’amato. Anche per questi motivi sovente sono gelosi e possessivi.
Più si impegnano a trattenere l’altro a sé e si immolano alla causa, più la posta in gioco diventa alta ed è impensabile tornare indietro o abbandonare tutto.
mercoledì 19 gennaio 2011
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